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Il ritorno

Tratto da Il Robot cap IV
Quando Lucas uscì dall’ufficio del padre, si sentì sollevato e felice per essere tornato e per averlo rivisto. Da quando sua madre era morta, il suo vecchio genitore rappresentava l’unico legame di sangue e l’unica famiglia che aveva. Ripensò a Dana e al progetto di sposarla e avere dei bambini con lei. Sapeva che il rapporto non poteva più essere ricucito e che averla abbandonata senza nessuna spiegazione né un saluto aveva provocato una ferita troppo profonda e insanabile. Sentì un dolore insopportabile e i suoi occhi diventarono lucidi. Sarebbe voluto tornare indietro per ascoltare i consigli del suo amico, non sarebbe mai dovuto andar via, non in quel modo.
Senza quasi rendersene conto si trovò davanti all’abitazione di Dana. Lucas rimase in auto, incerto sul da farsi, per alcuni minuti, non sapeva se scendere e provare a scusarsi o se andare via e arrendersi all’evidenza che ormai l’aveva perduta per sempre. Alla fine prese l’unica decisione possibile, accese l’auto e andò via. La strada che l’avrebbe riportato a casa sembrava interminabile, la percorreva con la voglia di premere al massimo l’acceleratore e lasciare al destino la scelta di farlo vivere o morire.
Lo squillo del cellulare lo distolse dai suoi pensieri facendolo ripiombare nella realtà. I fari delle auto luccicavano come stelle attraverso il filtro delle lacrime che bagnavano i suoi occhi. Si passò una mano sulle palpebre cercando di mettere bene a fuoco la strada davanti a sé e, dopo aver schiarito la voce, toccò l’icona della cornetta telefonica sullo sterzo e rispose alla chiamata.
<<Pronto!>>
<<Lucas, dove sei?>>

E non importa nient’altro

Così vicino, non importa fino a dove
non potrebbe essere molto più lontano dal cuore
dobbiamo sempre credere in chi siamo
E non importa nient’altro
Non mi sono mai aperto in questo modo
La vita è nostra, la viviamo a modo nostro
non è solo per dire tutte queste parole
E non importa nient’altro
Fidati, io cerco e trovo in te
Ogni giorno per noi è qualcosa di nuovo
Mente aperta per un modo diverso di vedere le cose
E non importa nient’altro
Non mi è mai importato di quello che fanno
Non mi è mai importato di quello che sanno
ma io so


Come se non fosse stato mai amore

lasciare_andare
Ieri ho capito che
E´ da oggi che comincio senza te
E tu, l´aria assente
Quasi come se io fossi trasparente
E vorrei fuggire via
e nascondermi da tutto questo
Ma resto immobile qui
Senza parlare… non ci riesco a staccarmi da te
E cancellare tutte le pagine con la tua immagine
E vivere.
Come se non fosse stato mai amore
Io sopravvivrò
Adesso ancora come non lo so
Il tempo qualche volta può aiutare
A sentirsi meno male…
A poter dimenticare
ma adesso è troppo presto
E resto immobile qui
Senza parlare… non ci riesco a stancarmi di te
E cancellare tutte le pagine con la tua immagine
E vivere… come se non fosse stato mai amore
come se non fosse stato amore
come se non fosse stato mai…
e vorrei fuggire via, vorrei nascondermi
Ma resto ancora così, senza parlare, senza dirti ¨non te ne andare¨
Non mi lasciare tra queste pagine.
e poi, e poi, e poi… vivere
come se non fosse stato mai amore
come se non fosse stato amore.

 


Un papà

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                Marco era un ragazzo esile e solitario, aveva lo sguardo sempre perso tra le nuvole a inseguire pensieri e sogni. Aveva avuto un’adolescenza difficile, passata a sfuggire al bullo di turno, aveva ottenuto il diploma con fatica per la poca volontà di andare a scuola ad affrontare ragazzi ostili e cattivi. C’era lei però, Valeria che era stata un’amica dolce e preziosa, l’unica a capire il suo disagio e a restargli vicino nei momenti più difficili. Una grande amicizia che si trasforma in amore, un sentimento forte che diventa matrimonio e, dopo qualche anno, un figlio desiderato e amato che fortifica un legame fatto di rispetto e fiducia. La vita di Marco sembrava finalmente felice, anche se sentiva sempre un vuoto dentro, fatto d’insoddisfazione e paura.
Una sorte malevola e dispettosa aveva portato via la sua Valeria per una stupida complicazione durante il parto. Era rimasto solo con il suo bambino, l’unica ragione della sua vita, un amore più grande di tutto. Occuparsi di suo figlio Giorgio, era diventato il suo unico motivo per vivere quella vita che, in fondo, non aveva mai amato.
Era passato più di un anno quando conobbe Franco. Si erano conosciuti in un bar e avevano subito legato. Erano entrambi attratti da qualcosa d’inspiegabile, da qualcosa cui erano sfuggiti per anni rinnegando se stessi e i propri desideri più intimi e personali. Un amore vero, diverso da quello che aveva provato per la sua Valeria, un legame troppo forte, una catena che nessuno poteva spezzare.
Trascorsero insieme dieci anni felici, si unirono civilmente e la loro famiglia era solida e serena. Giorgio cresceva sano e felice e amava i suoi due papà che si occupavano di lui senza mai fargli mancare nulla. Quella sorte malevola e dispettosa aveva voluto prendersi ancora gioco di lui e quando Marco aveva creduto di aver raggiunto la felicità e si sentiva finalmente appagato e pieno di voglia di vivere, fu colto da un malore e morì in breve tempo.
Fu enorme il dolore del piccolo Giorgio che aveva però ancora un papà, un àncora cui aggrapparsi per sostenersi e un amore forte e bello come quello che solo un papà può darti. Franco amava il figlio di Marco come fosse suo e avrebbe sacrificato la vita per il suo bambino.  Un giorno però, senza neanche aspettare che il dolore si fosse placato, si presentarono alla porta di casa sua due donne dei servizi sociali e due carabinieri. Gli mostrarono un foglio di carta firmato da un giudice in cui c’era scritto che avrebbero portato via il bambino perché lui non aveva alcun diritto. La legge non gli aveva consentito di adottare il figlio del suo amore e ora quel bambino, che non aveva più né un padre né una madre biologica, sarebbe finito in un orfanatrofio e non sarebbe più potuto stare col suo papà.
Franco provò a reagire, tentò di impedire che portassero via il bambino ma un carabiniere lo trattenne e guardandolo con disprezzo gli urlo:

<< Stai fermo o ti arresto per oltraggio a pubblico ufficiale, frocio di merda>>.

 


Un assaggio n.2

Questo è un altro piccolo frammento del mio libro “Il robot e altre storie”. Vi ricordo che potete scaricarlo dai link che trovate nella pagina dedicata al libro cliccando su: https://antoniotomarchio.wordpress.com/il-mio-libro/

               Aveva chiuso gli occhi e stava per addormentarsi quando un rumore lo fece trasalire, sentiva chiaramente dei passi molto lenti far scricchiolare il legno delle scale che conducevano alla sua stanzetta. Dapprima credette che fossero rientrati i suoi genitori poi, vista l’ora, pensò che fosse troppo presto. Un pensiero gli fece gelare il sangue nelle vene, si alzò velocemente dal letto, mise il cuscino sotto le lenzuola per far credere di essere ancora coricato, aprì la finestra e si nascose accanto alla scrivania. La porta si aprì lentamente, vide gli occhi luminosi del robot fissare il letto, stava per saltare fuori dal suo nascondino per correre verso il suo amico Raptor, quando un raggio laser fece esplodere il letto sollevando una nuvola di piume d’oca, fuoriuscite dal cuscino nascosto sotto le lenzuola.
                Joshua si precipitò terrorizzato fuori dalla finestra, sul tetto di tegole e legno sottostante, corse verso il tubo di scolo della grondaia, si aggrappò, si lasciò scivolare fino al pianterreno e cominciò a correre. Vide il robot saltare dalla finestra per inseguirlo, ma le tegole, sotto il peso e l’irruenza di quel salto, si ruppero facendolo scivolare e precipitare giù dal primo piano. Il tonfo fece un rumore assordante, il robot rimase immobile e i suoi occhi luminosi si spensero. Joshua si fermò ad aspettare, vide che il robot non si muoveva e decise quindi di tornare indietro sui suoi passi.
                Per un attimo aveva creduto che quel robot fosse il suo amico, ma adesso che lo vedeva bene alle luci dei lampioncini della sua villa, si era accorto che la mascherina non era quella in plexiglass che lui aveva incollato sul viso del suo Raptor, ma era come quella che si era rotta nel bosco.
                 <<Cavolo, ne hanno già costruito un altro>> pensò, notevolmente contrariato.
                Mentre sollevava la mascherina per aprire l’abitacolo del pilota, vide un altro alieno anch’esso vestito come il precedente, ma restò senza fiato nello scoprire che questa volta avevano imparato la lezione e avevano dotato il pilota di un casco e di cinture di sicurezza. Tentò il più velocemente possibile di slacciarle, ma non ci riusciva e il cuore batteva nel suo petto come un tamburo facendogli pulsare le vene della fronte e colorare il viso di rosso. Sarebbe voluto scappare ma era troppo tardi, gli occhi del robot si erano riaccesi e si sentì perduto.

Un piccolo assaggio…

Questo è un piccolo frammento del mio libro “Il robot e altre storie”. Vi ricordo che potete scaricarlo dai link che trovate nella pagina dedicata al libro cliccando su: https://antoniotomarchio.wordpress.com/il-mio-libro/

               All’improvviso sentì un rumore provenire dal bosco, sembravano dei passi molto pesanti, come quelli di una creatura metallica, pensò che qualche altro concorrente del torneo fosse venuto in quel bosco a fare delle prove. Era curioso e voleva vedere a che punto erano i suoi avversari, si addentrò quindi tra gli alberi stando attento a non far sbattere il suo costoso giocattolo ma soprattutto a non sbattere lui. In quel momento si rese conto che avrebbe dovuto fornirlo di una microcamera così da avere anche il punto di vista del suo robot.
                A un tratto lo vide, sembrava un uomo molto robusto, era color grigio scuro come la canna di un fucile e luccicava sotto la luce del sole che passava tra la fitta boscaglia.
                Il robot aveva un aspetto molto minaccioso, non come certi automi ridicoli che aveva visto al torneo. Nel viso aveva due occhi luminosi e poi c’era una mascherina simile a quella dei chirurghi, ma trasparente e spigolosa come un diamante, che copriva la bocca. Non aveva un’aria molto rassicurante e si muoveva lentamente tra gli alberi.
                Joshua si accorse che il robot poteva vedere perché continuava a muovere la testa in tutte le direzioni come se cercasse qualcosa, ma restò sbigottito soprattutto nel vedere che non c’era nessuno a guidarlo.
                Improvvisamente lo vide correre a una velocità impressionante, notò che con una spallata aveva sradicato un albero e ne restò stupefatto, ma ciò che vide dopo lo terrorizzò. Il robot aveva colpito qualcosa che aveva inseguito fino a poco prima, ma ciò che gli faceva tremare le gambe, era come lo aveva colpito, infatti, un potente fascio di luce simile a un laser, era fuoriuscito da un piccolo foro al centro del petto, impattando violentemente contro il suolo.
                <<E’ proibito! Maledizione, è proibito inserire armi nei robot! Se questi sono i miei avversari, non ho nessuna possibilità di vincere!>> pensò, arrabbiato e frustrato.
                Fece nascondere il suo automa dietro un grosso albero e spense il controller in modo da potersi muovere liberamente senza trascinarselo dietro. Si avvicinò ancora per vedere meglio, intanto il robot si era chinato per raccogliere il bersaglio appena colpito, un grosso coniglio pendeva ormai senza vita dalle sue grandi mani metalliche.
                <<Che bastardo, utilizza il robot per cacciare dei conigli!>> esclamò.
                Poi rimase impietrito quando si accorse che non solo quello strano robot ci vedeva benissimo ma era anche capace di sentire e adesso lo fissava con aria minacciosa. Sentì il sangue raggelarsi nelle vene e un brivido percorrere la sua giovane schiena.
                <<Cavolo! Adesso sono cazzi…>> pensò, mentre lentamente cercava di allontanarsi.
                Lo strano robot cominciò a correre verso di lui che intanto si era dato alla fuga.
                <<Sono spacciato! Mamma, sono spacciato!>>
                <<Aiuto! Aiuto!>> gridò.

L’ultimo atto… ancora la pioggia cadrà…

l'ultimo atto
Sul mio petto affannato,
sul viso disfatto,
sugli occhi annebbiati,
il sole si è appena svegliato
cacciando la notte
e le sue lugubri ombre,
ma lasciando nell’anima il buio
e su quel letto di ghiaccio
il vento dilania il mio corpo,
il freddo mi prende d’assalto
facendo tremare la carne,
rubando la forza
dell’ultimo atto,
Tra quelle bianche lenzuola
scorre più rosso il mio sangue
e trascina con sé
i momenti di tutta una vita,
la speranza, l’illusione,
lo sgomento, la disperazione,
In quella lama sottile,
come una falce impietosa
che porta infine la sera,
c’è l’ultimo gesto di un pazzo
che, in fondo, pazzo non era.

Tra le barche a pancia all’aria
rauco il vento s’infilò
l’ultima boccata forte
poi le scarpe si cavò
con le mani stanche cariche di vene
i vestiti ripiegò
come chi non ha più fretta
verso il mare camminò
la schiuma gli si fece incontro
e i suoi piedi incatenò
gli occhi acquosi di tristezza
oltre quel cielo
un altro cielo lui cercò
ti seguirò …
se tu lo vuoi …
dovunque andrai …
io ci sarò …
strinse intorno a sé le braccia
poi nell’acqua scivolò
i treni partiti senza portarci via
non si fermeranno più qua
finché la certezza non ci abbandonerà
e ancora la pioggia cadrà
il riflesso della luna
nel suo solco lo guidò
pallide le spalle magre
contro l’orizzonte andò
un silenzio nero come il culo dell’inferno
e lui si accompagnò
io non lo so …
cosa non va …
che cosa c’è …
cosa sarà …
metro dopo metro spinse il cuore
e la notte attraversò
i sogni sognati con tanta ingenuità
marciscono in fondo a una via
finché la paura non ci addormenterà
e ancora la pioggia cadrà
con bracciate più rabbiose
il suo corpo trascinò
e sfidò la nebbia densa
che pian piano lo abbracciò
le speranze mezze uccise dalla vita
tra le onde abbandonò
non ti amo più …
non sono tua …
che cosa vuoi …
vattene via …
si aggrappò sfinito al suo dolore
ed il mare lo ingoiò …

Omicidio perfetto

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                << La donna stava lavando i piatti, il marito era seduto al tavolo della cucina e guardava la TV. Non si sono accorti di nulla. Ho fatto entrare il gas narcotizzante dalle prese d’aria, pochi istanti e hanno perso conoscenza. Introdurmi in casa è stato un gioco da ragazzi, non ho lasciato nessun segno di effrazione né impronte, ho preso prima la donna e l’ho posata sul letto, poi il marito, per fortuna non pesavano molto, l’ho tenuto seduto accanto a lei e con il coltello che ho preso dalla cucina, ho colpito la donna con diverse coltellate. Gli spruzzi di sangue sono finiti sul pigiama dell’uomo, sapevo che potevo sfidare chiunque a capire che non era stato il marito a ucciderla. Poi ho messo il corpo dell’uomo accanto a quello della moglie e con lo stesso coltello, stretto ancóra nella sua mano, gli ho tagliato la gola. Tutto è andato come avevo previsto, nessuno ha sospettato di niente. La polizia ha avuto la soluzione, semplice, ovvia. Perché indagare? Un chiaro caso di omicidio suicidio e che importa se i parenti e gli amici hanno detto che si amavano e che mai avrebbero fatto una cosa simile. L’autopsia in questi casi è soltanto una formalità nessuno farebbe un test tossicologico per cercare del gas narcotizzante, in realtà non so se il gas lasci qualche traccia, ma sono sicuro che di fronte all’evidenza nessuno indaghi, tutto è archiviato in breve tempo. E’ stato un omicidio perfetto, l’ennesima opera d’arte. >>
         << Tu sei pazzo, perché lo racconti a me? Pensi che potrei assolverti dai tuoi peccati? Pentiti! Vai a costituirti e forse Dio avrà pietà della tua anima. >>
         << Che cosa dice Padre? A me non interessa la sua assoluzione né quella del suo Dio. Io sono un artista e un vero artista non si pente mai di aver creato un’opera d’arte. Crede che Michelangelo si sia pentito di aver dipinto la Cappella Sistina? >>
         << Sei solo un assassino! Un pazzo criminale! >>
         << Senti da quale pulpito viene la predica. La chiesa ha commesso, ha fatto commettere e si è resa complice di milioni di omicidi. Ha dimenticato il tribunale dell’inquisizione? Tutte le persone che avete bruciato vive? Le guerre che sono state fatte in vostro nome? Il vostro colpevole silenzio sull’olocausto? Lei non può giudicarmi Padre, lei deve soltanto ascoltare. >>
         << Perché sei venuto da me? Non hai paura che possa raccontare tutto alla polizia? >>
         << Lei è un prete ed è tenuto a rispettare il segreto confessionale, non può tradirmi. Un artista vorrebbe far vedere le sue opere al mondo intero, io mi devo accontentare di lei per far vedere la grandezza delle mie opere. >>
         << Come fai a definire opere d’arte degli omicidi? >>
         << Come potrei definirli altrimenti? Ne ho commessi a decine e nessuno a mai sospettato di me. Incidenti, regolamenti di conti tra mafiosi, morti naturali, omicidi in cui è stato accusato un innocente. Ho sempre fatto tutto talmente bene che a nessuno è mai venuto il sospetto che l’evidenza fosse diversa dalla realtà. Il mio capolavoro è stato fare accusare quella madre dell’omicidio del figlioletto. Ho spiato quella famiglia per mesi, ho trovato il momento giusto quando la signora è uscita da casa per accompagnare l’altro figlio allo scuolabus, sono entrato dal garage, il bambino dormiva, mi sono coperto col pigiama della madre e gli ho sfondato il cranio a martellate, poi sono uscito da dove ero entrato, nessuno mi ha visto. E’ stato divertente seguire le indagini e il processo, non le ha creduto nessuno per quanto potesse gridare la sua innocenza, anni d’indagini, perizie della polizia scientifica e non hanno capito. Sono stato bravo, non ho lasciato alcuna traccia del mio passaggio. Un capolavoro, la mia più grande opera d’arte. >>
         <<Maledetto assassino! Perché hai scelto me tra tanti preti? Perché mi tormenti? Perché vuoi che io condivida con te questi crimini? >>
         << Hai dimenticato Padre? Non ricordi più le tue mani avide sul mio corpo di bambino? Le tue carezze proibite, i tuoi baci che violavano la mia innocenza? Dov’era il tuo Dio mentre abusavi di me? >>
         << Chi sei tu? >>
         << Lo hai fatto a così tanti bambini che non ti ricordi più di me, vero? Lurido porco. >>
         << Vattene via! Esci da questa chiesa! Tu sei il diavolo. >>
         << Anche tu sei un diavolo, ti sei travestito da prete e ora brucerai vivo dentro la tua chiesa. >>
         L’uomo si allontanò mentre la piccola chiesa di campagna prendeva fuoco, le urla del parroco risuonavano nel silenzio della notte, la luna e le stelle brillavano nel cielo limpido, indifferenti alle piccole tragedie umane.
         Una stufa dimenticata accesa, un banale incidente. Un povero prete di campagna, vittima del freddo, è morto con un’orribile espressione di terrore sul suo viso carbonizzato.
“Questo racconto è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.”


Profumo di donna

profumo di donna 4

Quarta e ultima parte.

 

        Ebbe di nuovo quella sensazione di essere osservata, avvertiva la presenza di qualcuno tra le mura domestiche, sentiva ancora quello sguardo posarsi sulla sua pelle nuda e il terrore impossessarsi di ogni atomo del suo corpo. Si voltò di scatto e vide l’ombra di un uomo con il capo coperto da un cappuccio a pochi passi da lei, tentò di urlare ma una mano si posò rapidissima sulla sua bocca impedendoglielo. Un odore acre penetrava dalle sue narici e gli faceva girare la testa, sentì le forze venirgli meno e cadde priva di sensi.
         Trascorsero alcuni minuti, poi un bruciore attorno alle labbra la fece svegliare, si sentiva confusa e aveva un forte mal di testa. Sentiva che qualcosa copriva i suoi occhi e la sua bocca e le impediva di vedere e di urlare, provò a muoversi ma delle corde le stringevano i polsi e le caviglie. Era immobilizzata, sdraiata sul letto con le braccia e le gambe divaricate, era totalmente in balìa di quell’uomo. Sarah avrebbe voluto implorarlo di non farle del male ma non riusciva a pronunciare nessuna parola mentre la benda che copriva i suoi occhi cominciava a inzupparsi delle sue lacrime.
         Non aveva mai provato una paura così grande, si sentiva impotente e sapeva che quell’uomo poteva farle qualunque cosa, nessuno sarebbe corso in suo aiuto e nessuno avrebbe percepito la sua disperazione. Sentì qualcosa di freddo e metallico, come la lama di un coltello o la canna di una pistola, sfiorare la sua pelle, la sentiva scendere lentamente dal collo fino alle spalle, poi sul seno, sui capezzoli, sullo stomaco, sul ventre e infine tra le gambe. Il freddo metallo accarezzava il suo corpo completamente nudo, la sua pelle s’increspava e lunghi brividi percorrevano la sua schiena, sentì la bocca calda e umida dell’uomo avvolgere i suoi capezzoli turgidi e baciarle il seno delicatamente.
         Il suo corpo era teso come la corda di un violino, il cuore sembrava impazzito, pareva scoppiarle nel petto, l’incertezza per la propria vita adesso si accompagnava alla certezza che sarebbe stata sicuramente violentata, in cuor suo sperava che quell’uomo si potesse accontentare e che le avrebbe almeno risparmiato la vita. Sentiva l’alito caldo e la lingua dell’aggressore ripercorrere lo stesso percorso del metallo, lo sentì soffermarsi sulle sue cosce lisce e levigate, nonostante l’età, e infine sul suo pube glabro. Sentiva quell’uomo annusare le sue parti intime, poi percepì che si allontanava rapidamente da lei.
         << Che cosa ti aspettavi? Dopo un giorno intero passato in ufficio >> pensò, meravigliandosi di aver partorito una frase simile.
         << Signorina Davies! Si svegli! E’ rimasta soltanto la sua scrivania da pulire >> disse ad alta voce Tommy mentre la scuoteva.
         Sarah ebbe un sussulto, si voltò improvvisamente fissando, con la bocca e gli occhi spalancati, il viso sorridente del ragazzo.
         << Cazz…! Mi sono addormentata come una stupida, che incubo orribile …>> esclamò sbadigliando.
         << Io ho quasi terminato Signorina, se vuole, posso darle un passaggio, è già passata la mezzanotte ed è pericoloso per una donna da sola avventurarsi per le strade. >>
         << Grazie Tommy, lo accetto volentieri >> esclamò ricambiando il sorriso del ragazzo.
         Uscirono insieme, dopo aver spento le luci e chiuso tutte le porte, presero l’ascensore e in breve tempo furono fuori dall’edificio.
         << Brrr… che freddo! Lì c’è la mia macchina… >> disse il ragazzo, indicando col braccio un punto della strada e coprendosi il capo col cappuccio della felpa.

Un urlo nel silenzio

un urlo nel silenzio
Svanito, dissolto
in un tempo ormai lontano,
come uno scoglio
accarezzato dal mare,
come una rondine
tra le ali del vento,
senza dubbi né incertezze,
abbandonato ogni fardello,
percorro gli spazi della fantasia,
volo tra distanze infinite
abbracciando il cielo intero,
ma nuvole minacciose
mi sbarrano la strada,
come incubi spaventosi
ritornano i pensieri,
come cani rabbiosi
mi dilaniano il corpo,
mi riportano giù,
dove tutto è dolore,
dove ogni giorno finisce,
dove non c’è amore,
dove il mio sguardo sgomento
è come un bambino perduto,
è un urlo nel silenzio.

Occhiali rosa.

~ blog di Irene Rapelli

La Lettrice Assorta

Leggo storie, condivido impressioni

Evelyn

Disegno da sempre. E ho 31 anni. Copertine e illustrazioni di libri e canzoni | Vignette | Segnalibri | Ritratti | Idee tattoo Seguimi su Instagram @Evelyn_Artworks e TikTok @EvelynArtworks E-mail: evelynvalenziano@gmail.com

Blog IIS Giorgi milano prof. manna

Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza

EdnaModeblog

Ho sempre avuto il sospetto che l'amicizia venga sopravvalutata. come gli studi universitari, la morte o avere il cazzo lungo. noi esseri umani esaltiamo i luoghi comuni per sfuggire alla scarsa originalità della nostra vita. (Trueba)

Libero Emisfero

La filosofia, l'arte e la letteratura sono le chiavi di cui hai bisogno nella tua vita.

Citazioni Della Mia Mente

"Aut insanit homo, aut versus facit." (Orazio)